De Martis: vi dico a cosa serve il caporalato

Il Tirreno (ed. di Grosseto) di Giovanna Mezzana. I caporali, gli sfruttatori dei braccianti agricoli, svolgono una “funzione”: quella di gettare acqua su carboni ardenti e arginare così il rischio di una vampata di fuoco. L’ abbiamo resa così (e tra poco la spiegheremo) quella che è l’ idea di Giuseppe De Martis, presidente di Federconsumatori. Monta il dibattito sul fenomeno del caporalato in Maremma: da Attac che propone di creareuna cooperativa per toglierli dalle grinfie degli agrofaccendieri a Legacoop che boccia questa idea. E poi c’ è anche il ciclo di conferenze “Agrimafie e caporalato” ospitato da Cgil. La sensazione però è che si rimanga sempre confinati entro il perimetro del dibattito: certo, a ciascuno il suo (ruolo), ma tant’ è. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando la sala Pegaso di Palazzo Aldobrandeschi ospitò il mega convegno SicurGrosseto, a cura di Unipol Assicurazioni, occasione nella quale fu presentata una sorta di mappatura della Maremma sotto il profilo della legalità e della sicurezza. Si parlò di droga e di spaccio, di borseggi e di furti ma anche di caporalato, come di una “piaga” che cominciava ad essere purulenta. Parliamo con De Martis, in quegli anni numero uno del consiglio territoriale di Unipol, tra gli organizzatori del convegno. Sul fronte della guerra al caporalato che cosa s’ è fatto in questi dieci anni? «Poco, mi pare molto poco. A Grosseto ci si scandalizza per quel che accade nel Salernitano e non ci si accorge di quel che accade sotto casa». Cosa intende? «Grosseto è anche la città dove alle cinque del mattino partono furgoni di disperati che lavoreranno quattordici ore per poco più di dieci euro al giorno, dove esiste il lavoro nero». Che messaggio uscì dal convegno SicurGrosseto del 2005 nel corso del quale la Fondazione Cesar presentò un dossier su sicurezza e legalità? «Si confermò il fatto che a Grosseto il fenomeno del caporalato era ben presente anche se non in forme sfacciatamente evidenti come in alcune regioni del Paese». E da allora come si è sviluppato il contrasto ad esso? «La comunità dei grossetani non vede nulla, salvo poi scandalizzarsi se muore un bracciante in Sicilia. La Cgil dice che c’ è il lavoro nero perché l’ Ispettorato del lavoro ha poco personale da destinare alle ispezioni: intendiamoci, non è solo l’ Ispettorato che deve contrastare il fenomeno. La gente continua ad essere sfruttata e, anzi, adesso da qui li portano in Emilia-Romagna». Si spieghi meglio. «Si parla di pulmini di braccianti che partono da Grosseto alle 4 della mattina e tornano in città alle 23-24 della notte. Li portano là. Si spingono fino al confine con l’ Emilia-Romagna». Mi scusi, con tutti gli uliveti, i vigneti, le grandi estensioni agricole che ci sono in Maremma, per qual ragione vanno sulla via Emilia? «Non lo so. So solo che questi viaggi da Grosseto verso Bologna ci sono». Ma insomma, convegni a parte, si fa qualcosa o no per combattere il caporalato? Lei che idea s’ è fatto? «Le ipotesi sono due. O qui a Grosseto si è deciso di trattare il caporalato come a Napoli si tratta il business del contraffatto e a suo tempo si trattò il contrabbando delle sigarette oppure non si è in grado di combattere il fenomeno» Quale sarebbe il “modello Napoli”? «Ricorda quando a Napoli si colpì con la mano pesante il contrabbando delle sigarette e poi si decise di allentare le maglie per evitare una vera e propria guerra? Ecco, idem si fa oggi con la merce contraffatta. Crede che le forze dell’ ordine non sappiano dove sono i grandi centri in cui si smista la merce taroccata? Probabilmente a Grosseto è la stessa cosa: questa gente disperata (chi finisce a fare il bracciante sotto caporale) dovrà pur mangiare, se non va nei campi, borseggia, fa scippi, rapine. E così si lascia fare. Per la pace sociale».

GIOVANNA MEZZANA

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